La transizione energetica sostenibile

In tutto il mondo si discute sui costi (anche sociali) che l'abbandono dei vecchi sistemi di produzione di energia elettrica potrà avere.

E le resistenze delle lobby di carbone e nucleare (soprattutto nell'America della nuova amministrazione Trump, ma anche in Francia) fanno sì che le rinnovabili siano frenate nella loro corsa.

È evidente che, come gli ammiragli e i pescatori delle flotte di baleniere a fine '800, vi sia una mobilitazione contro le nuove sorgenti di energia, magari più convenienti, ma disruttive nei confronti di una filiera consolidata che dà lavoro a moltissime persone.

Però credo che ci sia la possibilità di far avvenire la transizione senza spargimenti enormi di sangue. A patto che i soggetti accettino ed abbraccino il cambiamento.

Secondo me, una buona transizione energetica deve occuparsi anche della fase di uscita (phase-out) da carbone, olio pesante e nucleare pre-VI generazione.

Quest'uscita dovrà essere sostenibile, in modo da dare nuova vita ai siti esistenti, in un riuso funzionale al nuovo paradigma energetico.

E così, le vecchie centrali potrebbero, ad esempio, diventare siti di stoccaggio di idrogeno, di installazione di sistemi di accumulo a batterie, di installazione di pannelli solari fotovoltaici sui propri tetti, di impianti per generare biogas e biometano, il tutto anche in soluzione ibrida.

Le rinnovabili dovranno ridurre al minimo lo sfruttamento di suolo e di panorama e possibilmente non chiedere extracosti per la demolizione delle opere civili evitando il loro abbandono, in quanto, fra l'altro, sono già provviste di infrastrutture di rete elettrica e dunque già "cablate" per l'energia 4.0.

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